giovedì 7 febbraio 2013

Senza vento

Non è la cella, Boris è uno a posto.
Ci è bastata un'occhiata per capire che entrambi abbiamo un mondo dentro.
E' più vecchio di me, più disilluso di me, più combattivo di me.

Quando è entrato gli avevano sparato ad una spalla per resistenza all'arresto; aveva sequestrato e rapinato una signora 'bene' di Jasonville, svaligiandole la casa. Dice.
Mi spiega anche che non poteva fare altrimenti: quando ti tolgono la casa, quando il governo ti chiama alle armi, ti chiede la vita, te la toglie con le tasse..il tutto per una cosa di cui tu non hai bisogno..
Si è spaccato la schiena fin da bambino seguendo suo padre a lavoro, che a sua volta aveva seguito il proprio.
Poi un bel giorno decide che a fare la guerra non ci vuole andare, e rifiuta la coscrizione. Dentro.
True story, I know.
Poi esce e rientra, esce e rientra, e me lo dice con uno strano sorriso, con quell'incisivo inferiore mancante perso su chissà quale spigolo, o contro quale pugno. Me lo dice con quelle zampe di gallina ai lati degli occhi; il sorriso di un recidivo, di chi vive la vita con una scrollata di spalle e una bomba a mano nella tasca.
Boris è uno a posto.

Non è il passare del tempo. Mangiamo insieme, dividiamo la cella, parliamo. Di comune accordo ci chiamiamo per nome mentre con gli altri, gli 'uguali', usiamo i nostri numeri di serie.

Mi sta insegnando a migliorare negli scacchi; sembra uno che la sa lunga, è preparato sulle aperture e conosce i loro nomi, le difese, i finali, conosce i segreti. E ho la sensazione che non vincerò mai con lui.
Per sdebitarmi gli insegno i trucchi del biliardo, l'uso delle sponde, le coperture, i colpi a effetto, gli spiego anche la dinamica fisica degli urti. E lui ascolta. E mi prende anche per il culo "Con la matematica e i disegnini ci sai fare, ma se credi che mi beva tutte ste stronzate.." Lo guardo e sorrido e ho la certezza che non ci giocherò mai.

Non sono gli altri uguali. Boris è dentro da un po' e ci rimarrà un po', ed è un veterano. Si sa muovere, ed è uno che impara alla svelta.

A me è bastato farmela con lui, girare insieme in mensa, o nei gruppi di lavoro. Mi è anche bastato piantare una forchetta sul dorso della mano di Cail Dean; ha capito, e anche quelli della sua cricca hanno capito.
Ciononostante la vita, come fuori, procede a gomitate e spallate. A pugni in faccia. E a manganellate.

Non sono i 'pesci'. Mi guardo sempre le spalle. Osservo i piantoni armati fino ai denti e bardati come se volessero - non, dovessero - andare in guerra. Ti scrutano, con quegli occhi piccoli da ratto, e sembrano sapere tutto ma non sanno di niente. Muovono la bocca ma non hanno nulla da dire. Li chiudo in una palla di vetro e li lascio nuotare. A volte.

A volte inizia il dileggio, ma loro ci vanno giù duro. Boris però è uno abituato alle botte. E io pure. Giorni fa ci ho rimesso un mignolo per parare una manganellata sui denti; diciannove giorni con la stecca. Perché sì, ti curano. Perché per una strana ricerca di pseudovirilità, ti devono pestare che sei integro. Sano. Anche se disarmato o stanco. Sano.
A Boris è andata peggio: commozione cerebrale e sei punti sulla fronte. Quando è caduto a terra ci si sono messi in due, ma lui non si muoveva già più. Erano in due, e sono bastati due colpi ai gomiti - sul nervo - per farmi capire che per diverso tempo non sarebbe riuscito a mangiare o a rifarsi la branda o a fumarsi una sigaretta da solo. Avrei voluto spaccare la faccia a quella nullità che mi aveva colpito. Togliergli per un mese o due quel sorriso vuoto come un cesso. Quel volto di prigione. Invece mi sono accasciato anch'io a terra, proteggendomi, e aspettando che arrivasse in fretta il colpo alla nuca.
Meglio in cella con lui, che in isolamento. Per Boris. Per me.

Non sono i momenti di solitudine.
Boris ha raggiunto la pace dei sensi, dice, e mi ricorda soltanto "Qui dentro non ha senso desiderare. Piuttosto fatti assegnare a un laboratorio..ti stanchi e la notte dormi come un bambino." Invece io desidero.
Mi alleno sotto le lenzuola, pratico la fantasia e immagino la libertà. 

Lui invece è saggio. Ha chiesto, e ricevuto, il permesso di partecipare ai programmi rieducativi. Quelli che la mitologia carceraria ritiene servano a reintrodurti al mondo, nella società. Lui lo sa, io lo so; cazzate.
Però ci sa fare col legno, e si diverte a creare oggettini rubando pezzetti e scarti qua e là. Sta finendo una nuova scacchiera. L'ennesima.
Io no. Io resto sveglio fino alla mattina, con gli occhi spalancati, lasciando al giorno la stanchezza che si merita.

Nulla di tutto ciò, ma qualcosa deve pur essere. Quando camminiamo in fila indiana per i pasti o l'ora d'aria, o per dirigerci ai gruppi di lavoro, passiamo sui pianerottoli del nostro settore. E vediamo le celle.
Immagino siano tutte uguali in ogni area: stesse dimensioni, stesso numero di brande, stesso cesso, stesse sbarre. Ma ognuna è diversa dall'altra..Chi ha una tenda, chi dei tavolini. C'è chi tappezza le pareti di poster con donne nude in procinto di dartela. Ho visto un tipo che aveva anche un holodeck, e un altro una specie di scrittoio. Un paio avevano addirittura delle librerie, scaffali.

Anche il lato di Boris è..arredato. Ma non c'è nulla di esterno, si è creato tutto dentro.
Figure stilizzate in legno, una fenice, ritagli di giornali, anche un robot assemblato con i pacchetti di sigarette. Ha costruito una cornice e l'ha appesa al muro. Vuota. Solo il giallo sbiadito della parete è visibile, con qualche buco e qualche ragno. La mattina quando mi alzo, l'occhio cerca sempre quella cornice; non gli ho mai chiesto il significato, e lui non me l'ha mai confessato. Inquietante. Troppo.
Guardo il mio lato, spoglio, scarno e monocolore. Voglio che sia così.
Non mi piace, lo odio e non lo sopporto. Non voglio che mi piaccia, non voglio comodità, non voglio legarmi a questo posto. Ogni mattina devo ricordarmi quanto mi faccia schifo, senza ninnoli di fuori o di dentro.
Senza impreziosire, senza aggiustare. Siamo diversi io e Boris.

Ma c'è dell'altro, qualcosa di più opprimente dell'abitudine, della solitudine, dell'accettazione. Quell'ora d'aria. La tortura. Boris ed io restiamo sempre vicino alla porta antincendio. Ci sediamo sullle scale e non 'usciamo', osserviamo da 'dentro' quello che gli altri fanno 'fuori'.
I piantoni, sui muri di cemento, controllano e fanno la guardia a..tutti. Tutti quelli che sfruttano quel poco tempo che gli è concesso, a fumare, giocarsi sigarette ai dadi, a lamentarsi del compagno di cella sbagliato, ad accoltellare quello che ti ha fottuto una barretta alla mensa del giorno prima. Io ci ho provato all'inizio, poi ho desistito. Quel quadrato mi opprime. Non è il freddo, e l'aria è davvero pulita quando il cielo è terso, e sa di pioggia quando piove.
E' quel filo spinato.
Come fanno tutti a non vederlo su quei dannati muri!

Chiacchieriamo poco io e Boris quando siamo lì. Fumiamo. Ci limitiamo ad osservare silenti, ognuno con la propria morte e ognuno col proprio giudizio, le libere attività dei prigionieri. E'  un'attività stancante, non sembra. Non trovo sigari, solo sigarette..sintetiche soltanto al nominarle. Ogni tanto ne scrocco una a lui.
Un giorno mi fa "Hai qualcuno che ti aspetta fuori?" E' stata la prima e unica volta che abbiamo parlato della prospettiva futura, della libertà.
Il pensiero corre a lei che non mi ha aspettato. E che ho relegato in un angolo talmente buio che solo in momenti come questi può emergere e distinguersi.
Sono un millantatore e ostento sicurezza, sempre. Con un sorriso evanescente gli rispondo che sì, questa volta qualcuno dovrebbe esserci. O almeno lo spero.
Ride con gratitudine Boris, e non so perché.
Afferro la sigaretta che mi passa, e in quell'attimo in cui le dita delle nostre mani reggono la sigaretta, glielo domando. Gli chiedo quanti anni ha "Trentasei a Ottobre di quest'annno." Un anno in più di me.

Lo guardo e lui capisce. La sigaretta che non sa dove andare si spezza a metà, legata al filo della carta. Lascio la presa. Lui è deluso e cosciente "Io rientro." e molla anche lui la sigaretta. Rinuncia a venti minuti e passa di ora d'aria.
Resto a osservarlo per un po', le sue spalle, la sua schiena spezzata che si allontana, e la sigaretta spezzata in terra. Seguo la figura fino a quando non scompare, mentre alla nuca mi arriva l'aria fredda del cortile.
Siamo uguali Boris ed io?
Voglio un sigaro.